In Italia le persone che si prostituiscono affrontano discriminazioni, tabù, violenze e sanzioni a causa di ciò che sono o delle attività che svolgono. Questa comunità ha subito ingiustizie storiche e innumerevoli violazioni dei diritti umani. A causa del fortissimo stigma attorno a questo tema e della mancanza di informazioni e di cura, le persone che esercitano lavoro sessuale possono essere escluse dall’assistenza sanitaria, dall’accesso all’edilizia pubblica e da altre protezioni di tipo giuridico e sociale.
In questo contesto rivestono un ruolo centrale le azioni capillari di informazione, consapevolezza e cura delle persone più esposte a fragilità e marginalità sociale e parallelamente promuovere consapevolezza pubblica e sociale sui diritti delle lavoratrici e lavoratori del sesso.
Contesto di riferimento
La legge n. 75 del 1978, conosciuta anche come legge Merlin, rappresenta un tipico caso di legge abolizionista: non proibisce lo scambio di sesso contro denaro o beni, attività lecita, ma sanziona le condotte di carattere ancillare, sia sul piano materiale (come la promozione, l’agevolazione, lo sfruttamento), che su quello morale (come l’nduzione). L’obiettivo del legislatore del tempo non era in realtà quella di abolire la prostituzione, ma il suo sfruttamento. L’obiettivo non era nemmeno quello di una generica moralizzazione dei costumi, ma la rimozione di tutte quelle situazioni organizzate, comprese le umilianti schedature eseguite dalle questure, che andavano a ledere la dignità delle persone coinvolte. Tuttavia, nei suoi oltre sessantacinque anni di applicazione, la legge ha finito per prendere di mira le lavoratrici e i lavoratori del sesso stessi, colpendo attività non solo inoffensive ma utili per lavorare in condizioni più sicure. Un ulteriore risultato criminalizzante deriva dall’utilizzo sempre più frequente di poteri locali (ordinanze, regolamenti, contestazioni amministrative) che finiscono per stigmatizzare le persone che esercitano prostituzione su strada e i loro clienti.
In sostanza oggi l’esercizio del lavoro sessuale resta assoggettato a numerose limitazioni, derivanti molto spesso da una applicazione distorta delle stesse previsioni normative, tabù e stigmatizzazioni sociali, che finiscono per colpire principalmente le persone che si prostituiscono, danneggiandole nella loro sfera psico-fisica.
Nel mondo poi le violazioni cui vanno incontro comprendono la violenza fisica e sessuale, detenzioni arbitrarie, estorsioni, intimidazioni, traffico di esseri umani, l’obbligo di sottoporsi a controlli medici.
Spesso le persone sex worker vittime e/o sopravvissute a crimini non vengono riconosciute come tali, e le loro necessità di servizi e protezione specializzati rimangono ignorate. Tutto questo entra in contraddizione con i quadri legislativi europei, come la Direttiva sui Diritti delle Vittime dell’Unione europea e la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla violenza contro le donne – basi giuridiche che questo progetto si propone implicitamente di considerare centrali insieme ad altri strumenti che possono essere usati per migliorare la protezione delle persone sex worker.
Un recente rapporto, pubblicato nel 2022 dall’organizzazione per i diritti umani Amnesty International, dal titolo “Viviamo all’interno di un sistema violento: la violenza strutturale contro le lavoratrici e i lavoratori del sesso in Irlanda”, rivela come la criminalizzazione di vari aspetti del lavoro e la non accessibilità a equi sistemi di giustizia e tutela dei diritti stia costringendo le persone sex worker a evitare contatti con la polizia, correndo dunque maggiori rischi, e stia mettendo in pericolo le loro vite e la loro sicurezza. Pertanto, secondo un recente studio sviluppato dal Gruppo italiano di Esperte contro sfruttamento e tratta «le politiche sulla prostituzione dovrebbero essere mirate all’empowerment delle donne e di tutte le persone che si prostituiscono, in quanto prioritariamente considerate come titolari di diritti».
A livello globale, infine, lavoratori e lavoratrici del sesso e le loro organizzazioni chiedono che le politiche sulla prostituzione mettano al centro i diritti umani delle persone interessate e la riduzione del danno. In questi anni numerosi organismi internazionali hanno invitato i Paesi ad introdurre misure e promuovere azioni che siano in grado di garantire un più facile accesso alla giustizia e ai servizi sanitari e sociali per le persone che si prostituiscono. Tra questi, il Programma congiunto delle Nazioni Unite HIV/AIDS (UNAIDS), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), UN Women, il Relatore speciale sul diritto alla salute, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), Amnesty International, Human Rights Watch, ILGA World, ILGA-Europe, TGEU, la Piattaforma per la cooperazione internazionale sui migranti privi di documenti, La Strada International, Open Society, la Piattaforma europea di organizzazioni non governative contro la tratta di esseri umani, il Gruppo europeo per il trattamento dell’AIDS, la rivista medica The Lancet.